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La sil­lo­ge poe­ti­ca Di-ve-ni-re di Mar­co Grat­to­ni

Oggi sono lie­ta di pro­por­vi la re­cen­sio­ne del­l’ul­ti­ma ope­ra poe­ti­ca di Mar­co Grat­to­ni, “Di-ve-ni-re”, pub­bli­ca­ta da “Ber­to­ni Edi­to­re”, nel­la col­la­na “Poe­siae­di­zio­ni”, cu­ra­ta da Bru­no Mo­ho­ro­vi­ch e ac­qui­sta­bi­le – ol­tre che sul sito del­la casa edi­tri­ce – nei prin­ci­pa­li sto­re on line e nel­le li­bre­rie.

“Si do­vreb­be, al­me­no ogni gior­no, ascol­ta­re qual­che can­zo­ne, leg­ge­re una bel­la poe­sia, ve­de­re un bel qua­dro, e, se pos­si­bi­le, dire qual­che pa­ro­la ra­gio­ne­vo­le”. Ho scel­to di in­tro­dur­re il li­bro scrit­to da Mar­co Grat­to­ni sul­la scia di que­ste pa­ro­le del gran­de au­to­re te­de­sco Wol­fgang Goe­the. “Di-ve-ni-re” è una rac­col­ta di poe­sie che non si può fare a meno di leg­ge­re: rac­chiu­de al pro­prio in­ter­no vari ge­ne­ri let­te­ra­ri e temi dif­fe­ren­ti. Que­sto per­ché Mar­co è uno scrit­to­re eclet­ti­co e com­ples­so che ha sa­pu­to tra­smet­te­re le sen­sa­zio­ni del­la sua ani­ma in pa­ro­le. In “Di-ve-ni-re” si rac­chiu­de dav­ve­ro un boc­cio­lo pron­to a mo­strar­si in tut­to il suo splen­do­re. Grat­to­ni è una gran­de sor­pre­sa, da leg­ge­re con avi­di­tà: la for­za in­trin­se­ca nel suo scri­ve­re è quel­la di una lin­gua ar­gu­ta ma, nel con­tem­po, sem­pli­ce e alla por­ta­ta di tut­ti. Il suo ver­so è zep­po di ri­chia­mi, di ri­fe­ri­men­ti che è qua­si un gio­co in­tel­let­tua­le in­di­vi­dua­re e sco­pri­re. L’au­to­re stu­pi­sce al­tre­sì per l’o­ri­gi­na­li­tà e la for­za del­le sue com­po­si­zio­ni, che spa­zia­no su temi fon­da­men­ta­li e che toc­ca­no la vita di tut­ti. La dif­fe­ren­za, qui, è il modo di rac­con­tar­li che ci ca­ta­pul­ta in un uni­ver­so dif­fe­ren­te e per­so­na­le, pur ri­ma­nen­do nel cam­po del­le sen­sa­zio­ni co­mu­ni a tut­ti gli es­se­ri sen­zien­ti.

At­tra­ver­so un uso spre­giu­di­ca­to e sor­pren­den­te del­le fi­gu­re re­to­ri­che, an­che di quel­le più com­pli­ca­te e osti­che, Grat­to­ni ci pren­de per mano e ci por­ta nel suo mon­do, af­fi­dan­do­ci pic­co­li schiz­zi, im­pres­sio­ni ac­cen­na­te del mon­do che vuo­le mo­strar­ci. In par­ti­co­la­re, il sen­ti­men­to che vie­ne esa­mi­na­to, rac­con­ta­to e of­fer­to al pub­bli­co pa­gi­na dopo pa­gi­na, com­po­ni­men­to dopo com­po­ni­men­to è quel­lo uni­ver­sa­le del­l’a­mo­re che non è però mai solo, iso­la­to, ma vie­ne spie­ga­to ed espres­so so­prat­tut­to at­tra­ver­so il rap­por­to con la na­tu­ra e i suoi ele­men­ti co­sti­tu­ti­vi e fon­dan­ti: gli stes­si che pos­sia­mo sen­ti­re e co­no­sce­re tut­ti sot­to un cie­lo stel­la­to, di fron­te a un mare cal­mo, am­mi­ran­do una fal­ce di luna che ci guar­da im­mo­bi­le dal suo cie­lo.

Tut­to que­sto, Mar­co rie­sce a espri­mer­lo e a far­ce­lo sen­ti­re e toc­ca­re in to­ta­le li­ber­tà, sen­za se­gui­re nes­sun ca­no­ne, nes­sun filo tes­su­to da al­tri, in luo­ghi dif­fe­ren­ti fi­dan­do sol­tan­to sul­la pro­pria ispi­ra­zio­ne del mo­men­to. Que­sta è una del­le for­ze del­la sua voce che va con­tro l’or­ro­re del quo­ti­dia­no che le no­ti­zie por­ta­no ine­vi­ta­bil­men­te nel­le no­stre case. E, pro­prio per far ac­qui­si­re for­za al suo det­ta­to, ha vo­lu­to di­vi­de­re in sil­la­be il ti­to­lo del­l’o­pe­ra poe­ti­ca che ci pro­po­ne at­tra­ver­so Ber­to­ni Edi­to­re ren­den­do­la, sim­bo­li­ca­men­te ma an­che let­te­ra­ria­men­te, più vi­ci­na al­l’in­fi­ni­to.

De­si­de­ra­vi scri­ve­re fin da bam­bi­no? 
Sì. Fare lo scrit­to­re è sem­pre sta­to il mio chio­do fis­so. Ri­cor­do che a 10 anni i miei ge­ni­to­ri mi com­pra­ro­no la pri­ma mac­chi­na da scri­ve­re; for­se quel­li del­la mia età se la ri­cor­da­no an­co­ra, il sem­pli­ce ge­sto di in­fi­la­re la car­ta nel rul­lo mi fa­ce­va sen­ti­re uno scrit­to­re… si­ste­ma­re il fo­glio re­go­lan­do­lo con le due ma­no­po­le la­te­ra­li era la fase che pre­fe­ri­vo. Re­sta­vo qual­che mi­nu­to a fis­sa­re il bian­co, poi le mie dita co­min­cia­va­no a spin­ge­re quei ta­sti così duri im­pres­sio­nan­do il fo­glio, con le pri­me pa­ro­le cioè il ti­to­lo.
Ci sono sta­ti mi­glia­ia di ti­to­li e sto­rie in­co­min­cia­ti ma mai fi­ni­ti, per­ché dopo qual­che pa­gi­na le idee si af­fie­vo­li­va­no ed io ab­ban­do­na­vo scon­so­la­to; ri­cor­do il pe­rio­do sco­la­sti­co per­ché nel tem­po li­be­ro mi ven­ne la vo­glia di scri­ve­re le pri­me poe­sie ed in­sie­me ad un com­pa­gno nel­le ore di in­ter­val­lo an­da­va­mo di clas­se in clas­se a leg­ger­le con ap­plau­si fi­na­li dei com­pa­gni. Quel­le po­che scrit­te le con­ser­vo an­co­ra ge­lo­sa­men­te.

Come hai sco­per­to la tua pas­sio­ne per la scrit­tu­ra? Come l’hai col­ti­va­ta?
Ho sco­per­to la pas­sio­ne per la scrit­tu­ra fin da pic­co­lo, ma l’ho ab­ban­do­na­ta su­bi­to per la fo­to­gra­fia che mi ha ac­com­pa­gna­to per qua­ran­t’an­ni; fo­to­gra­fa­vo di tut­to e non usci­vo mai sen­za la mia mac­chi­na. Poi nel 2003, con la na­sci­ta di mia fi­glia Giu­lia, mi è tor­na­ta la vo­glia di de­scri­ve­re le emo­zio­ni de­ri­va­te da que­sto bel­lis­si­mo av­ve­ni­men­to. Così sono nate le pri­me poe­sie e… non mi sono più fer­ma­to. Ho pub­bli­ca­to il mio pri­mo li­bro nel 2010. Ad oggi sono sei, ma con­si­de­ro so­la­men­te gli ul­ti­mi due per la ma­tu­ri­tà poe­ti­ca ed i con­te­nu­ti che van­no dal­l’a­mo­re per la na­tu­ra a quel­lo per mia fi­glia, per pas­sa­re a temi più for­ti qua­le la mor­te, dopo la per­di­ta di mio pa­dre.

Quan­do hai scrit­to il tuo pri­mo li­bro?
In con­co­mi­tan­za con la na­sci­ta di Giu­lia. L’ho in­ti­to­la­to “Il mio ar­co­ba­le­no”. Lì espri­me­vo tut­ta la mia gio­ia e nel­lo stes­so tem­po quel­la di un so­gno fi­nal­men­te co­ro­na­to dopo tan­ti anni di at­te­sa.

Che mes­sag­gio hai vo­lu­to lan­cia­re con il li­bro di poe­sie edi­to da Ber­to­ni Edi­to­re?
Con la rac­col­ta poe­ti­ca “Di-ve-ni-re” ho vo­lu­to espri­me­re le di­ver­se fac­ce del­la vita, dal­la na­sci­ta alla mor­te, da cui ri­na­sco. Di­ve­ni­re si­gni­fi­ca ri­na­sce­re, ave­re una me­ta­mor­fo­si, di­ven­ta­re qual­co­sa di mi­glio­re. È un di­ver­so ri­vi­ve­re la vita sot­to al­tre sem­bian­ze: ma­ga­ri come una quer­cia alta e pos­sen­te, che non teme nul­la e nes­su­no, o fra­gi­le come un bru­co che di­ven­ta far­fal­la, ha la sua ri­vin­ci­ta ver­so il mon­do e spic­ca il volo con i suoi co­lo­ri e de­li­ca­tez­za.

Che sen­sa­zio­ne si pro­va dopo aver scrit­to un li­bro?
Un sen­so di li­be­ra­zio­ne, di svuo­ta­men­to da tut­ti i pro­ble­mi e dal­le fa­ti­che. Sono bea­ti­tu­di­ne e sod­di­sfa­zio­ne che si me­sco­la­no e ti sen­ti per al­me­no un mo­men­to in pa­ra­di­so, si­cu­ro di aver scrit­to tut­to e nien­te su te stes­so e il mon­do cir­co­stan­te in­sie­me a mol­ti dub­bi di cosa real­men­te vo­les­si dire ed espri­me­re con i ver­si a vol­te ma­lin­co­ni­ci e a vol­te eu­fo­ri­ci.

Come tro­vi l’i­spi­ra­zio­ne adat­ta per scri­ve­re?
L’i­spi­ra­zio­ne non la tro­vo: è lei che tro­va me, di not­te men­tre dor­mo, o quan­do ascol­to un bra­no mu­si­ca­le che mi pia­ce par­ti­co­lar­men­te. A vol­te sono fra­si o solo una pa­ro­la. Mi ca­pi­ta spes­so di ave­re nel­la men­te un traf­fi­co che spin­ge ver­so il cuo­re: lì ca­pi­sco che sta per na­sce­re un ver­so o un’in­te­ra poe­sia.

Se tu po­tes­si fare un re­ga­lo al­l’u­ma­ni­tà per cosa op­te­re­sti?
A que­sta do­man­da è mol­to dif­fi­ci­le ri­spon­de­re. Non ba­ste­reb­be­ro mil­le pa­gi­ne, po­trei ca­de­re nel ba­na­le e nel re­to­ri­co. Ecco, az­zar­de­rei un piz­zi­co di dol­cez­za: per­ché ne ab­bia­mo tut­ti bi­so­gno sen­za ver­go­gnar­ci di come po­trem­mo es­se­re giu­di­ca­ti, di es­se­re con­si­de­rar­ti de­bo­li. In fon­do es­se­re buo­ni è come es­se­re bam­bi­ni: sen­za ma­li­zia e al­trui­sti.

di Ilaria Solazzo

 

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