Ci sono caratteristiche comportamentali e di pensiero che trasformano un vero imprenditore in un imprenditore eccezionale, un imprenditore cioè capace di costruire un impero e di mantenerlo.
Noi italiani siamo capaci di creare cose belle: moda, arredamento in tutte le sue estensioni, persino output tecnici come i freni gialli o rossi della Brembo, per non parlare delle dream car, delle barche, degli occhiali, dell’architettura e del design.
Domenico Auriemma è riuscito a coniugare business e creatività. Oggi la sua azienda è un impero economico in continua crescita ed egli è riuscito ad avere un successo internazionale.
Per ottenere un successo che travalichi i confini nazionali o qualche milione di euro, bisogna avere la capacità di creare cose belle, molto belle, oserei dire uniche, straordinarie, stupende, splendide, magnifiche, incantevoli, avvenenti, affascinanti, attraenti, seducenti, piacevoli, gradevoli, deliziose, eleganti, armoniose, equilibrate, ben fatte, armoniche e sexy. Ho volutamente esagerato con gli aggettivi proprio perché credo che per diventare imprenditori italiani ricchi e di successo internazionale occorra avere fantasia. Gli stereotipi non sono sempre acqua calda.
Ci sono grosse imprese italiane che hanno il mondo come mercato, logico che raggiunte certe dimensioni, alla fantasia occorre abbinare una grande capacità di gestire i collaboratori che sono a capo dei processi d’impresa principali (commerciale, produzione, logistica, acquisti, sistemi ICT, gestione del personale e dei clienti, post vendita) e la finanza. Per scoprire il pensiero di uno di loro abbiamo deciso di contattarlo per farci raccontare un po’ la sua vita, in questo caso l’Auriemmapensiero.
Ilaria Solazzo, giornalista pubblicista e blogger, ha intervistato, oggi, per noi della Gazzetta dell’Emilia Romagna l’imprenditore Domenico Auriemma, titolare del brand D-Style che ha portato il tricolore fuori dai confini nazionali.
Intervista
Ilaria – Benvenuto Domenico su questa prestigiosa testata giornalistica nazionale. Direi di iniziare la nostra chiacchierata da una domanda di curiosità. Quanta consapevolezza ha l’uomo moderno del modo in cui “fa le cose”?
Domenico – Presumo poca. Stiamo perdendo il rispetto per le cose e per chi le produce, ci sentiamo più consumatori che produttori. Ci arrabbiamo con gli addetti allo sfalcio ai bordi delle strade che ci obbligano a rallentare, ma tutta la nostra vita concreta, la nostra sussistenza la dobbiamo alle attività lavorative. Soprattutto degli altri, e ci sono tante persone che nel mestiere che svolgono vanno oltre il proprio dovere. E i furbetti del cartellino non ce la faranno a farmi perdere la fiducia a priori che ho nei confronti di coloro che lavorano, soprattutto se il loro stipendio è basso.
Ilaria – Perché il fondamento della Repubblica non è la giustizia, l’amore, nemmeno i confini dello Stato; l’articolo 1 della Costituzione lo dice chiaro: L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Un volto noto dello star system ha sostenuto che le persone siano un buco, un vuoto da riempire con le cose che si fanno. E più grande è il buco, maggiore è l’impegno a fare, a dire, a provarci. Quindi la mancanza è una fortuna?
Domenico – La mancanza di cui parla questo VIP è una dimensione esistenziale. Gli esseri umani sembra si siano spinti molto avanti nelle loro capacità speculative, progettuali, immaginative per cui tra ciò che siamo e ciò che potremmo essere c’è uno spazio grande, che per Valentino è un vuoto da riempire con le cose che si fanno. Non credo che questa mancanza sia una fortuna, è piuttosto una condizione da cui provare a farcela, oppure al contrario, esserne annichiliti.
Ilaria – La comunicazione attuale la trovi in linea con i tuoi pensieri?
Domenico – Non direi Quello che le immagini di oggi ci costringono a guardare è effettivamente un enorme impasto amorfo e policromatico di linguaggi audiovisivi contrastanti: dove il corpo è oggetto mediatico nella sua forma di desiderio e di martirio, amore e morte. Lusso e povertà. Nel passato, questo messaggio scorreva più lento in virtù della sua forza analogica e materica. Forse più statico nei panorami di affreschi, quadrerie e gallerie private, gruppi scultorei, intarsi, intagli, stampe, ma con un appiglio decisamente più epidermico nella società.
Ilaria – Il modo in cui rileggiamo il romanzo della nostra vita dipende anche da come agiscono silenziosamente in noi (modificandone gli snodi) le persone fondamentali. Sei d’accordo?
Domenico – L’idea che ogni io è, in gran parte, fatto di altri e dall’altro non era una conquista teorica, ma una realtà. Essere vivi significava urtare di continuo contro l’esistenza altrui ed esserne urtati, con esiti ora bonari, l’attimo dopo aggressivi, quindi di nuovo bonari.
La nostra singolarità, la nostra unicità, la nostra identità si “crepano” senza sosta. Quando alla fine di una giornata esclamiamo: “mi sento a pezzi”, non c’è niente di più letteralmente vero.
Ilaria – Cosa pensi del Blog dedicato ai Professionisti illuminati che ha riscosso enorme successo negli ultimi mesi?
Domenico – Che è un’idea geniale. Sposo sempre chi ha usato e usa il cervello per dare vita a nuove cose.
Ilaria – Periodo storico attuale nel quale la maggior parte delle persone si lamenta di quasi tutto. Puoi “sbottonarti” esternandoci il tuo punto di vista?
Domenico – Ti rispondo così: “Ognuno desidera che la vita sia semplice, sicura e senza ostacoli; ecco perché i problemi sono tabù. L’uomo vuole certezze e non dubbi, risultati e non esperienze, senza accorgersi che le certezze non possono provenire che dai dubbi e i risultati dalle esperienze”. Questa citazione di Carl Gustav Jung trovo sia perfetta.
Ilaria – Dicono che l’ottimismo sia un pregio e in questo posso essere d’accordo. Ma cos’è esattamente l’ottimismo?
Domenico – L’ottimismo è una capacità della mente di orientarsi alla soluzione, non è la rimozione del problema. Il pensiero positivo funziona solo se prima scendi all’inferno. Quando riesci ad essere ottimista stando in mezzo alle fiamme, allora sei a buon punto.
Ilaria – Anna Quindlen ha detto: “La cosa che è veramente difficile, e anche davvero incredibile, è rinunciare ad essere perfetti ed iniziare il lavoro di diventare se stessi”.
Domenico – Quando ero più giovane, pensavo che tutta la disquisizione filosofica che riguarda l’essere umano fosse una figata, un modo per usare la testa in maniera diversa, più astratta. Mi permetteva di creare nuovi mondi interiori e, in un certo senso, di fuggire da una realtà piatta che mi stava stretta. Più tardi, con l’esperienza degli anni, ho compreso come certe frasi incontrate nel mio cammino erano state dette per essere messe in pratica.
Ilaria – Qual è dunque l’ingrediente che ci permette il cambiamento?
Domenico – Se vogliamo produrre un cambiamento all’esterno, nella nostra vita, siamo sfidati a cambiare l’interno, ossia noi stessi. Tuttavia per modificare te stesso devi prima conoscere te stesso. Non nella teoria, ma nella pratica.
Ilaria – Quale dono ti ha portato il successo?
Domenico – Quello essere consapevole di te. Questo cambia completamente la visione che hai di te stesso e della tua vita. Il cambiamento è spesso un cambiamento di prospettiva: la consapevolezza crea la realtà. Quando cambia la visione che hai di te stesso, cambia la visione che hai del mondo: questa è una logica conseguenza.
Penso che il primo passo per costruire un mondo migliore parta da noi e dalla consapevolezza che riusciamo a sviluppare.
Ilaria – Ti saluto e ti ringrazio per la cortesia, la disponibilità e la professionalità che hai mostrato durante il nostro incontro. Ho molto apprezzato, inoltre, la trasparenza e la sincerità, qualità certamente rare.
Domenico – Non posso che rilevare una efficienza superiore alla norma nella gestione del colloquio e devo dire che ho apprezzato molto il modo cortese e empatico con il quale ci siamo interfacciati.
Ho avuto un’ottima impressione di te, in particolare sottolineo la serietà e professionalità con cui mi hai rivolto le domande nonché la tua capacità di trasmettermi fiducia.
Resto a disposizione per eventuali proposte che vorrai sottopormi.