Bonaccini che parla di lavoro alla Mirafiori di Torino? Vale la pena ricordare questa vecchia ‘storia’ del 1980, quando Berlinguer parlò a braccio davanti alla Fiat.
Una storia di 42 anni fa da rievocare senza scongiuri, per mettere il lavoro al centro della possibile nuova segreteria Pd. Stefano Bonaccini, oggi al cambio turno delle 13 alla porta 2 di Mirafiori (accompagnato dal segretario provinciale del Pd metropolitano Marcello Mazzù, dal vicepresidente del Consiglio regionale Daniele Valle e dal capogruppo Dem Raffaele Gallo) riporta alla memoria quel discorso improvvisato di Enrico Berlinguer a Rivalta del 26 settembre 1980, prodromo a una cocente sconfitta degli operai Fiat. Le maestranze erano in sciopero da oltre un mese contro 14.000 licenziamenti poi trasformati in cassa integrazione. Sarà poi la “marcia dei 40 mila” del 14 ottobre, promossa dall’Associazione dei quadri Fiat che rivendicava il “diritto al lavoro”, a seppellire la lotta. Fu così che Cesare Romiti piegò la protesta, che aveva paralizzato Torino. Lo sciopero si era radicalizzato anche in un parallelo con le lotte di Solidarnosc a Danzica (“Danzica e Stettino, così anche a Torino”, si urlava nei cortei), ma la crisi e poi la sfiducia al governo Cossiga favorirono il passaggio della proposta Fiat dai licenziamenti alla cassa integrazione, poi accolta per oltre 20.000 persone nel corso di una notte, con Cisl e Uil ormai apertamente contro la Cgil.
Sul sito dell’Istituto Gramsci di Torino il segretario della federazione Pci di allora, Lorenzo Gianotti, ricorda come Berlinguer avesse accolto l’invito a venire a Torino per incontrare una delegazione di scioperanti, ma fosse rimasto spiazzato dalle migliaia di persone in attesa, senza stipendio da settimane e ansiose di un intervento del Pci per sbloccare la situazione. Aveva sollecitato la trattativa Berlinguer chiudendo a metà settembre la festa dell’Unità di Bologna. Ma Gianotti restituisce un Berlinguer prudente, non intenzionato a scavalcare il sindacato. Dopo qualche esitazione il leader comunista accetta di intervenire pubblicamente e rispondendo a chi gli domandava “che cosa avrebbe fatto il Pci se i lavoratori avessero occupato gli stabilimenti, assicurò il sostegno del partito- racconta Gianotti- qualora ‘il sindacato e i lavoratori nelle loro assemblee’ l’avessero deciso”.
L’indomani Berlinguer fu accusato di gettare benzina sul fuoco, spingendo gli operai a occupare le fabbriche, annota l’ex capo della Federazione comunista di Torino. “Le critiche di Cisl, Uil e del Psi si rivolgevano a quella che era considerata un’abile manovra comunista per appropriarsi del conflitto sociale. Si giocava anche una partita interna al partito, una parte dei cui esponenti considerava irragionevole e azzardata la svolta a sinistra operata dal segretario dopo la fine dei governi di ‘solidarietà democratica’ e giudicava l’intervento sulla Fiat un altro passo temerario”.
Tuttavia la crisi di governo favorì il passaggio dagli esuberi alla cassa integrazione, e secondo Gianotti, “il nesso tra l’intervento di Berlinguer e il ritiro dei licenziamenti spiccava con evidenza. Ma nel sindacato prevalse chi respingeva ogni gradualità”, fino alla sconfitta a opera dei quadri organizzati da Cesare Romiti. Una storia da cui riparte oggi Bonaccini, anche se è facile immaginare che il governatore dell’Emilia-Romagna voglia fermarsi ai simboli e favorire, in un’altra era geologica, sviluppi ed esiti molto diversi.
BONACCINI: “DISTANTI DAL LAVORO? QUI PER FARVI CAMBIARE IDEA”
“Lo dico io prima che me lo diciate voi: arrivare davanti a una fabbrica non è risolvere il problema del Pd coi lavoratori“. Stefano Bonaccini, nell’arrivare ai cancelli di Mirafiori fa subito autocritica: “Io penso che il Pd sia stato percepito come una forza politica distante da dove la gente lavorava”. Il Pd, non lui: “Io lo faccio regolarmente”, e ricorda il suo sostegno ai lavoratori durante la crisi della bolognese Saga Coffee. “Abbiamo il dovere di andare a confrontarci: ascoltare, rischiare anche i fischi. Perché una classe dirigente autorevole la vedi quando le cose vanno male”. A tutti i livelli: “Non può farlo solo il segretario: deve farlo il gruppo dirigente diffuso”.
Ad attenderlo davanti alla fabbrica c’è una folla di cronisti e cameraman. Il presidente dell’Emilia-Romagna vuole incontrare i lavoratori, ma quando dal tornello della Porta 2 di Corso Tazzoli ne escono una dozzina si allontanano. Niente fischi, anzi alcuni arrivano apposta per incontrarlo, altri sembrano non conoscerlo ancora.
Un delegato Fiom che ammette di non aver votato Pd lo rincuora: “Apprezzo che uno venga e ci metta la faccia”. Bonaccini ci prova: “Sono qui per farvi cambiare idea“. Alcuni operai con giacca Maserati si fanno la foto, un ex delegato gli fa i complimenti per “l’atteggiamento”.
Bonaccini parla di Torino: “Questa terra è una terra dove l’auto rappresentava il core business, no? I disinvestimenti hanno fatto sì che la produzione si sia spostata da altre parti e ha creato mancanza di posti di lavoro”. Questo il quadro generale, quando gli chiedono un giudizio sulla situazione della fabbrica Bonaccini premette: “Io vengo da un territorio che è una delle motor valley mondiali. Credo che pochi conoscano il settore automotive quanto lo conosco io, che è fatto di grandi imprese come Maserati, che richiama Modena”, ma anche di piccole, e Bonaccini racconta di aver incontrato da poco un artigiano terzista per Ferrari: “È pieno di imprese del genere da queste parti, o dalle mie parti”.
Poi il governatore candidato alla segreteria Pd va sulla transizione ecologica, una trasformazione in cui “tenere insieme la ragioni del lavoro e dell’ambiente, per evitare che una transizione che non tenga conto degli investimenti da fare su linea produttiva, componentistica, nate per motori di altro tipo, non rischi di chiudere fabbriche e lasciare a casa i lavoratori. Per questo abbiamo discusso con l’Unione europea”. Bonaccini prosegue auspicando “norme flessibili rispetto ad alcune temporalità che rischiano di uccidere un settore, penso ad esempio quello delle supercar”, di cui la sua Emilia è la culla italiana, “che ne vende poche migliaia, ma se fermi quello fermi il lavoro e la vita di migliaia di persone”. Poi dice la sua su Mirafiori: “Più in generale penso che questo sia un polo su cui bisogna investire, non disinvestire“.
Sul precariato torna più volte, sia con gli operai che con la stampa Bonaccini: “Finché il lavoro precario costa meno di quello stabile, stai tranquillo che non avrai l’opportunità di colpirlo. Bisogna fare provvedimenti che permettano persino all’impresa di avere un vantaggio a stabilire contratti di lavoro stabili rispetto a quelli precari”. Le politiche del Governo non lo stupiscono, riconosce coerenza ma parla di misure sbagliate: “Se tu estendi fino a 85.000 euro lordi i benefici fiscali e dici che la coperta è corta, la coperta la metti su chi sta già al caldo, chi è al freddo va al gelo”.