Storia di un uomo che si abbandona al dolore e va alla deriva.
“È il racconto di quel “male di vivere” che colpisce molte persone ogni giorno e le pone ai margini della propria stessa esistenza il romanzo “Il buio in testa”, scritto da Roberto Toppetta e pubblicato da Bertoni Editore. Con la prefazione di Renato Minore, il libro si costruisce attorno alla vicenda di un assistente universitario che, dopo la perdita violenta della moglie incinta e della madre, si lascia andare all’alcool e al fumo quasi senza rendersene conto. La sua vita viene irrimediabilmente stravolta: dopo la tragedia infatti, emergono dal suo passato anche vecchie angosce legate a un trauma giovanile mai superato. L’uomo così, da “bella testa”, diventa una “mela marcia” della sua Facoltà: è solo e disperato, completamente alla deriva. Neppure la psichiatra che lo segue riuscirà ad aiutarlo. Con una scrittura coinvolgente, l’autore immerge il lettore in una storia di dolore: attraverso le peripezie del suo protagonista (ma anche utilizzando gli altri personaggi del romanzo) indaga in profondità il buio mentale, la disperazione, l’abbrutimento, il non avere più degli obiettivi per cui vivere nell’assoluta incapacità di reagire ai colpi del destino”, (fonte ANSA).
Descrizione del libro in breve…
Il romanzo narra la storia dell’assistente universitario Rino Tebani, che sprofonda nel gorgo nero dell’alcol e del fumo dopo la perdita violenta della moglie incinta Livia e della madre Gemma. La duplice tragedia lo precipita nelle tenebre della mente e gli ravviva gli incubi vissuti da ragazzo per un trauma che lo aveva marchiato a fuoco. Incapace di reagire ai colpi del destino, Rino diventa vittima del mal di vivere, ignora il precipizio che gli si apre davanti e si abbrutisce. Assalito dai fantasmi del passato, soggiace ad una sofferenza intrisa di pulsioni laceranti che lo spingono verso una deriva raggelante e solitaria. Da “bella testa” diventa una “mela marcia” della sua Facoltà, dove opera in un team guidato da un “barone” borioso, che angaria sia gli studenti sia gli assistenti. Il buio mentale è un protagonista del libro: invade Rino, in primo luogo. Ma anche le altre figure di primo piano: il presunto padre aguzzino, la psichiatra che lo aiuta a fugare temporaneamente gli spettri senza evitargli nuove angosce, Livia e Gemma. Di sorvegliata impronta psicologica, il romanzo è ricco di sfumature e di atmosfere raccontate con lessico stringato e diretto. Toppetta penetra nelle profondità della psiche umana e ne coglie le pieghe grazie a un tipo di narrazione basato su sfondi mutevoli e su dialoghi sempre adatti al contesto. Ambientata in gran parte a Roma tra il 1980 e il 1983, l’opera evoca l’imperatore Augusto, Raffaello Sanzio, Joyce, D’Annunzio, Svevo, Mussolini, Coppi, Eduardo De Filippo e Fellini. Fanno da sfondo agli eventi anche il terremoto dell’Irpinia e il Mondiale di calcio del 1982 vinto dall’Italia.
Intervista a cura della giornalista pubblicista Ilaria Solazzo.
ILARIA: Qual è stata l’ispirazione dietro la tua opera letteraria dal titolo “Il buio in testa”?
ROBERTO: Mi ha ispirato la convinzione che i traumi vissuti durante l’infanzia condizionano il resto della vita, se non vengono completamente rimossi. Su questo argomento Sigmund Freud ha scritto pagine illuminanti e io ho cercato di dare un contesto narrativo a situazioni conosciute o comunque immaginate. Il protagonista, l’assistente universitario Rino Tebani, sprofonda in un gorgo nero dopo la perdita violenta della moglie incinta e della madre, ma la duplice tragedia lo precipita nelle tenebre della mente anche e soprattutto perché gli ravviva gli incubi vissuti da ragazzo per un grave shock che lo aveva marchiato a fuoco. Incapace di reagire ai colpi del destino, diventa preda del mal di vivere, ignora il precipizio che gli si apre davanti e si abbrutisce. Assalito dai fantasmi del passato, soggiace a una sofferenza intrisa di pulsioni laceranti che lo spingono verso una deriva raggelante e solitaria. Da “bella testa” diventa una “mela marcia” della sua Facoltà, dove opera in un team guidato da un “barone” borioso, che tormenta sia gli studenti sia gli assistenti.
https://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Toppetta
ILARIA: Come mai hai scelto proprio il genere ‘romanzo’ come forma espressiva?
ROBERTO: Per raccontare determinate situazioni e coinvolgere i lettori, non c’è alternativa al romanzo. Il mio ha peraltro precise connotazioni saggistiche. Tuttavia, la cifra saggistica che vive in me riguarda i campi della storia e della letteratura, non quella dell’analisi psicologica. Siccome uno dei protagonisti del racconto è il buio mentale, io ho potuto rappresentarlo solo con le armi della narrativa. Il testo è ricco di sfumature e di atmosfere raccontate con lessico stringato e diretto. Il mio intento è stato quello di penetrare nelle profondità della psiche umana per coglierne le pieghe, grazie a una narrazione basata su sfondi mutevoli e su dialoghi adatti al contesto.
ILARIA: Quali temi o argomenti sono ricorrenti nella tua scrittura all’ interno di queste 223 pagine?
ROBERTO: Nella Prefazione il critico letterario Renato Minore afferma che io sono un narratore fantasioso e pieno di sorprese, so raccontare la Roma di Moravia e di Guttuso, tra il Caffè Greco e il Pantheon, con mille dettagli storici e paesaggistici, archeologici e artistici, al tempo stesso riesco “quasi a bruciapelo a far intravedere l’imprevedibile (un omicidio involontario, un mortale incidente stradale, amplessi che rivelano scenari impensabili, figli che assistono al funerale del padre mai conosciuto) che contribuisce a dare al racconto un ritmo sinusoidale, tra episodi in presa diretta, flashback, improvvise associazioni che anticipano o posticipano ciò che può e deve accadere”.
ILARIA: Come definiresti il tuo stile in “Il buio in testa”?
ROBERTO: Il mio modo di narrare è disteso nel suo scorrere, ma presenta soventi impennate che sembrano deviare il discorso, per poi rimetterlo al centro. E, così facendo, cerco di ambientare al meglio ciò che racconto – la vita dolorosa di Rino, la sua storia coniugale, l’intreccio con altre storie di amici, i viaggi, le disavventure professionali, la caduta finale. La sofferenza è in primo piano nella gerarchia tematica, però non mancano i momenti di gioia e di felicità, i tuffi nella grande cultura e nella grande politica, i viaggi della fantasia. Insomma, mi piace variare nei contenuti e nello stile, in cerca di un traguardo da raggiungere: emozionare il lettore, coinvolgerlo nelle mie passioni umane e intellettuali. La mia scrittura è quella di una giornalista felicissimo di esserlo, al quale non basta fare unicamente la cronaca della realtà.
ILARIA: Quali artisti e scrittori ti hanno ispirato nel corso della tua carriera fino ad oggi?
ROBERTO: Io ho scritto otto libri, di cui sette sono saggi: due letterari, uno sulla privacy nel giornalismo, quattro storiografici. Per i primi due, ho guardato molto a Pietro Citati e a Geno Pampaloni; per quelli storiografici, i miei modelli sono stati soprattutto i classici latini, in particolare Sallustio e Tacito. Quanto ai moderni, i miei fari sono Andrea Giardina e Luciano Canfora. Per il romanzo, invece, posso dire che un altro critico vi ha scorto alcune desolate atmosfere kafkiane, il realismo crudo di Thomas Hardy e il gusto moraviano della sessualità esplicita. Io amo usare un frasario stringato, diretto, rifuggo dalle costruzioni ricercate. La mia tecnica narrativa privilegia l’impatto visivo, è imperniata su continui mutamenti di prospettiva e affonda un bisturi nei recessi della psicologia umana. Sono contento di me, ma devo coltivare di più l’ironia e la leggerezza. Devo studiare Leo Longanesi ed Ennio Flaiano, i quali ci hanno insegnato a farci beffe dei luoghi comuni e dei palloni gonfiati. Come ci ha spiegato Manuel Kundera, la levità letteraria è una virtù, non una frivolezza.
ILARIA: Come inizia, solitamente, il processo di scrittura di un tuo nuovo libro?
ROBERTO: Non ero abituato a seguire una scaletta da giornalista e non lo sono nemmeno da autore. In me tutto nasce all’insegna di un’idea che si sviluppa con il passare del tempo. In genere, ho solo una visione di massima di dove intendo andare a parare e solo l’esercizio da incisore alla fine mi porta alla meta che magari avevo sin dall’inizio ma di cui non ero ben consapevole. Insomma, non sono uno scrittore a tesi e non appartengo a un particolare tipo di letterato. Scrivo perché non riesco a farne a meno e coltivo sempre la speranza che chi, magari casualmente, mi legge, poi non riesca a fare a meno di andare a vedere le altre cose che ho scritto. Naturalmente, avendo lavorato per decenni in Tv il mio nome è più noto come giornalista che come autore. Un po’ mi dispiace, senonché la realtà è questa.
ILARIA: Che gioca ruolo l’emozione nella tua creazione editoriale firmata Bertoni Editore?
ROBERTO: L’emozione è per me una spinta decisa, una sollecitazione continua. Scrivo solo su temi che mi smuovono dentro, creo solo personaggi che sanno emozionarsi. Ora viviamo sempre di più sui social e la gran parte dei naviganti vanno a caccia di una realtà parallela. Non è il mio caso. Uso i social con giudizio, non ne sono schiavo e diffido dei personaggi che sono diventati gli idoli di milioni di persone. Sapere che un influencer può manipolare la testa di moltitudini mi crea molta preoccupazione, talora angoscia. Come ha ben scritto Aldo Cazzullo, sui social tutti parlano, molti minacciano, nessuno ascolta.
ILARIA: Puoi raccontare un momento o un luogo che ti ha ispirato a scrivere le pagine de “Il buio in testa”?
ROBERTO: A venti anni, mentre frequentavo l’università, cominciai a scrivere un romanzo rimasto poi nel cassetto. Bene, ne era protagonista un giovane che aveva già le caratteristiche fondamentali di Rino Tebani. Quando ho deciso di ritentare la strada del romanzo, una volta andato in pensione, mi è tornato in mente quel giovane e da lì – un poco per volta- è venuto fuori Rino Tebani. Da oltre dieci anni io non fumo più, ma per decenni ho fumato come un turco: la pipa soprattutto, oltre alle sigarette e ai sigari. Ecco, il vizio del fumo Rino Tebani lo ha preso da Roberto Toppetta.
ILARIA: Come scegli le parole e le immagini ‘poetiche’ presenti nei tuoi libri per comunicare le tue emozioni o messaggi ai vari lettori?
ROBERTO: Io non scelgo niente, in partenza: tutto ciò che compare sulla pagina mi viene da dentro. Scrivo di cuore, non di testa. Questo per quanto riguarda la narrativa, naturalmente. La costruzione avviene successivamente, quando entra in scena l’intarsiatore. Allora sì che cerco di affinare la scrittura per colpire chi legge.
ILARIA: Qual è il tuo obiettivo principale quando scrivi?
ROBERTO: Il mio obiettivo maggiore è quello di dare sfogo ai miei impulsi, di liberarmi delle passioni che germogliano in me. Però sarebbe ben poca scrivere solo per sé stessi. Chi lo dice, non lo pensa, e chi lo pensa davvero è un Narciso moderno senza speranza.
ILARIA: Se tu potessi fare un regalo all’umanità per cosa opteresti?
ROBERTO: Donerei la pace, che non è mai stata tanto a repentaglio dopo la Seconda guerra mondiale come in questo momento. E chi ne sta pagando le maggiori conseguenze sono i bambini, carne da macello per macellai ottusi e invasati.
ILARIA: Un tuo sogno nel cassetto è…?
ROBERTO: Scrivere un altro romanzo e vivere ancora a lungo…
Dettagli…
Libro: ‘Il buio in testa’.
Autore: Roberto Toppetta.
Editore: Bertoni.
Anno edizione: 2021.
In commercio dal: 30 ottobre 2021.
Pagine: 230.
Tipo: Brossura.
EAN: 9788855353700.
Dove acquistare il libro online
https://www.bertonieditore.com/shop/it/libri/896-il-buio-in-testa.html